Lavorando ogni giorno a stretto contatto con i giovani ed i giovanissimi credo venga spontanea una domanda: di quale strano e profondo disagio stanno soffrendo? Sovente li si vede svogliati, insoddisfatti, poco propensi ad impegnarsi per uno scopo. Tutto appare scontato, ogni cosa, materiale e no è vista come dovuta. Non c’è merito in chi gliela procura ma solo demerito e riprovazione verso chi, eventualmente, li ostacola.
Tutto, anche le sostanze psico-attive come alcool, droghe e psicofarmaci viene percepito come lecito, nella ricerca sfrenata di un piacere che, perduti gli argini della via naturale al suo perseguimento (la natura ha programmato il premio “piacere” per il sesso e per gli istinti di autoconservazione) fa ritenere loro un diritto anche rovinarsi pur di fuggire da una realtà che non sanno affrontare.
Il nostro mondo, che con la sua competizione continua, ci ha regalato un benessere impensabile in qualsiasi altro periodo storico e in qualsiasi altra area geografica, ha indubbiamente i suoi costi.
E noi adulti, genitori ed educatori, dovremmo cercare di essere all’altezza della sfida che la modernità ci richiede.
Dovremmo cioè educare nel senso di far emergere le potenzialità del pensiero, della creatività, dello studio, dell’applicazione. Ma per far questo c’è anche bisogno di un certo rapporto con un qualche tipo di autorità intesa come autorevolezza che induce e suscita ammirazione da un lato e rispetto dall’altro.
Ma, combattuta e distrutta nel ‘68 l’antiquata e dannosa concezione dell’autorità come autoritarismo, si è proseguito troppo oltre giungendo ad una dimensione pedagogicamente insostenibile ove, ad esempio, molti genitori sono schierati a spada tratta con i figli contro ogni limite, obbligo o cogenza che possano essere proposti dall’ autorità esterna.
Chi in una scuola “osa” rimproverare con voti o con richiami e provvedimenti disciplinari gli alunni si prepari all’assalto di madri inferocite pronte ad accusare l’insegnante di parzialità o, peggio, di incompetenza.
Si crede, magari in buona fede, che questo sia amare: sollevare dalle responsabilità, assolvere da ogni colpa e più ancora salvare da ogni costo individuale a fronte degli errori anche più gravi.
In una società ove è malinconicamente tramontato il ruolo normativo della figura paterna, ci avviamo a moltiplicare le vittime di un mammismo che, privato dell’apporto dialettico del maschile, rovina inesorabilmente i suoi figli.
Sciaguratamente si ritiene di poter difendere la libertà individuale senza il suo alter ego, la responsabilità. La passività dilagante, l’essere dei debosciati senza capacità di perseguire i propri fini è il prezzo che molti giovani, educati in questa melassa pedagogica, pagano finendo per rifugiarsi, smarriti, impauriti e impotenti tra le braccia del sogno regressivo e perdente dei paradisi artificiali.