Solitamente la condizione riservata alle donne in una società è un chiaro segnale, del tenore di libertà di cui una società è capace e va di pari passo con il livello di evoluzione culturale e civile, ma non sempre e non in ogni epoca ciò è stato vero.
Infatti nella oligarchica Sparta la posizione della donna nella società risulta essere stata migliore che nella democratica Atene.
Senofonte (430 Atene - 345 Corinto) nella “Costituzione degli spartani” ci racconta: “Licurgo (IX-VIII secolo) dispose che il vecchio marito potesse ammettere nell’intimità della propria casa un uomo di cui ammirasse le doti fisiche e morali, allo scopo di ottenere figli per mezzo suo.
Di contro, nel caso che non intendesse avere ulteriori rapporti con la propria moglie, ma che tuttavia provasse il desiderio di avere una bella prole, lo autorizzò a mettere gli occhi su una donna prolifica e nobile e a renderla madre dei propri figli, a patto di aver ottenuto il consenso del marito legittimo. Licurgo sancì molte concessioni del genere”.
Insomma una prima forma di fecondazione eterologa!
A Sparta, come documenta Senofonte, le donne bevevano vino e non avevano alcuna restrizione né per quello che riguarda l’educazione né per le frequentazioni. Facevano ginnastica in compagnia dei maschi e venivano definite spregiativamente “fenomeridi”, che letteralmente significa “esibitrici di cosce”.
In quella città le donne godevano certamente di maggiore libertà rispetto ad Atene. A differenza infatti delle altre donne greche, che trascorrevano praticamente la vita nel gineceo delle loro case, le spartane venivano educate a vivere liberamente, all’aria aperta. Anche se sposate, non erano tenute a dedicarsi né ai lavori domestici, cui provvedevano le schiave, né alla crescita dei figli, affidata alle nutrici. Esse non godevano di diritti politici ma erano libere di dedicarsi al canto, alla danza e soprattutto agli esercizi ginnici, cui erano addestrate fin dalla più tenera età, in quanto si pensava che così facendo esse potessero crescere sane e robuste e quindi altrettanto sani e robusti sarebbero stati i loro figli.
A differenza delle ateniesi che portavano il pesante e opprimente chitone, le donne spartane vestivano con tuniche corte e potevano inoltre liberamente passeggiare e parlare con gli uomini. Gli altri greci, per queste abitudini peculiari delle spartane, favoleggiavano della libertà anche sessuale delle donne di questa città, e del loro ascendente sugli uomini, dato che con questi esse stabilivano una confidenza sconosciuta alle altre donne greche.
Per Aristotele addirittura (384-322) “… si deve supporre che la natura femminile sia come una menomazione”.
Un primo riconoscimento dei loro diritti è rinvenibile nella “Grande epigrafe” di Gortyna.
Le leggi di Gortyna sono un complesso di norme dell’antica Grecia, scritte in una grande epigrafe forse risalente al VI-V secolo a.C. e rinvenuta nel 1884 a Gortyna (isola vicino Creta) da una missione archeologica italiana guidata da Federico Halbherr.
Il contenuto dell’epigrafe è molto interessante dove tratta del diritto di famiglia. La struttura familiare sembra non essere più quella patriarcale dove i diritti delle donne erano praticamente inesistenti.
A Gortyna le donne, pur subordinate nella scelta del marito al volere del “pater familias”, potevano ereditare e, almeno in parte, amministrarlo autonomamente.
Secondo Senofonte, a determinare il declino della città sarebbe stata la progressiva sostituzione della morigeratezza, della temperanza e della continenza con l’amore per le ricchezze e per il lusso nei desideri e nei gusti degli spartani che così vennero meno ai loro principi originari di obbedienza e subordinazione del cittadino agli interessi dello stato, subordinazione che costituiva la base dell’ordinamento politico di Licurgo.