Mentre la madre custodisce e protegge la vita, la funzione simbolica del padre, la nomina, la iscrive nella legge.
A questo stadio, il desiderio, diviene desiderio di essere desiderato dall’Altro.
Il desiderio come desiderio dell’Altro desidera solo l’altro desiderio, desidera essere desiderato dal desiderio dell’Altro, dunque voler essere riconosciuti e desiderati, avere un valore per l’altro.
Ormai è chiaro che questo desiderio non è più solo una spinta avida al possesso o al godimento, né è desiderio di annientamento di un rivale ma la ricerca di un segno.
Nell’anoressica spesso troviamo il rifiuto di soddisfare il bisogno alimentare nel disperato tentativo di essere riconosciuti dall’Altro come soggetti e non come corpi da sfamare! Voglio essere ciò che ti manca e non ciò di cui disponi, l’oggetto del tuo amore non delle tue attenzioni infermieristiche.
Il fantasma primario del bambino esprime questa domanda: “Puoi vivere senza di me? Se io morissi o scomparissi la tua vita sarebbe la stessa?”
Dunque l’uomo è creatura relazionale, insufficiente a se stesso; ma se il bisogno ci orienta verso oggetti in grado di placarlo e magari di estinguerlo, il desiderio, questo tipo di desiderio, si nutre di segni, di gesti, di parole.
Gli studi di Spitz intorno alla deprivazione primaria negli orfanotrofi mostrano bimbi curati e nutriti con attenzione e solerzia, deperire drammaticamente e perfino morire proprio a causa di questa assenza, l’assenza del nutrimento insostituibile di essere il centro del desiderio dell’Altro.
La madre incarna molto meglio del padre la capacità di cure, di attenzioni, di amore individualizzato; nella donna vi è una superiore capacità e ricettività verso le differenze dei vari figli, e una cura del particolare generalmente ignota agli uomini.
I figli ricercano e vogliono cure non anonime. Il desiderio di questo tipo, inteso come desiderio del desiderio dell’Altro si soddisfa solo nell’esperienza del riconoscimento. Mentre Narciso si consuma nella passione assoluta e smodata per la sua immagine riflessa, qui il desiderio brama di ricevere l’ascolto della propria parola.
(Caso dell’ultima paziente di Freud, dove in una seduta ella guarì, quando il grande viennese mise a tacere la madre restituendo alla figlia la parola. Ella disse: “Quello che mi guarì è una cosa semplice; è essermi sentita ascoltata per la prima volta!)
Tuttavia anche questo volto del desiderio presenta una zona oscura. Se il riconoscimento ad opera dell’Altro, se il permanere nel suo desiderio, mi deforma fino a obbligarmi a dovermi rendere amabile sempre e ad ogni costo poiché solo il desiderio dell’altro mi fa essere, allora il “mio” desiderio che dovrebbe orientarmi e guidarmi, riempiendo la vita, può divenire fonte di smarrimento e di perdita della mia stessa identità. E’ qui che deve e può sorgere il desiderio di avere un proprio desiderio, di autonomia. Il desiderio umano oscilla inevitabilmente tra la dimora calda e rassicurante di permanere nel desiderio dell’Altro e il desiderio di avere un desiderio proprio, che può risultare eccentrico rispetto all’alterità.
Continua
A questo stadio, il desiderio, diviene desiderio di essere desiderato dall’Altro.
Il desiderio come desiderio dell’Altro desidera solo l’altro desiderio, desidera essere desiderato dal desiderio dell’Altro, dunque voler essere riconosciuti e desiderati, avere un valore per l’altro.
Ormai è chiaro che questo desiderio non è più solo una spinta avida al possesso o al godimento, né è desiderio di annientamento di un rivale ma la ricerca di un segno.
Nell’anoressica spesso troviamo il rifiuto di soddisfare il bisogno alimentare nel disperato tentativo di essere riconosciuti dall’Altro come soggetti e non come corpi da sfamare! Voglio essere ciò che ti manca e non ciò di cui disponi, l’oggetto del tuo amore non delle tue attenzioni infermieristiche.
Il fantasma primario del bambino esprime questa domanda: “Puoi vivere senza di me? Se io morissi o scomparissi la tua vita sarebbe la stessa?”
Dunque l’uomo è creatura relazionale, insufficiente a se stesso; ma se il bisogno ci orienta verso oggetti in grado di placarlo e magari di estinguerlo, il desiderio, questo tipo di desiderio, si nutre di segni, di gesti, di parole.
Gli studi di Spitz intorno alla deprivazione primaria negli orfanotrofi mostrano bimbi curati e nutriti con attenzione e solerzia, deperire drammaticamente e perfino morire proprio a causa di questa assenza, l’assenza del nutrimento insostituibile di essere il centro del desiderio dell’Altro.
La madre incarna molto meglio del padre la capacità di cure, di attenzioni, di amore individualizzato; nella donna vi è una superiore capacità e ricettività verso le differenze dei vari figli, e una cura del particolare generalmente ignota agli uomini.
I figli ricercano e vogliono cure non anonime. Il desiderio di questo tipo, inteso come desiderio del desiderio dell’Altro si soddisfa solo nell’esperienza del riconoscimento. Mentre Narciso si consuma nella passione assoluta e smodata per la sua immagine riflessa, qui il desiderio brama di ricevere l’ascolto della propria parola.
(Caso dell’ultima paziente di Freud, dove in una seduta ella guarì, quando il grande viennese mise a tacere la madre restituendo alla figlia la parola. Ella disse: “Quello che mi guarì è una cosa semplice; è essermi sentita ascoltata per la prima volta!)
Tuttavia anche questo volto del desiderio presenta una zona oscura. Se il riconoscimento ad opera dell’Altro, se il permanere nel suo desiderio, mi deforma fino a obbligarmi a dovermi rendere amabile sempre e ad ogni costo poiché solo il desiderio dell’altro mi fa essere, allora il “mio” desiderio che dovrebbe orientarmi e guidarmi, riempiendo la vita, può divenire fonte di smarrimento e di perdita della mia stessa identità. E’ qui che deve e può sorgere il desiderio di avere un proprio desiderio, di autonomia. Il desiderio umano oscilla inevitabilmente tra la dimora calda e rassicurante di permanere nel desiderio dell’Altro e il desiderio di avere un desiderio proprio, che può risultare eccentrico rispetto all’alterità.
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Tags: Desiderio, altro,