L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica psicoterapica sviluppata da Francine Shapiro a partire dal 1989 negli Stati Uniti, dove ha avuto notevole successo e diffusione, fino ad affermarsi come terapia rapida ed efficace per diversi tipi di disturbo.
Essa era inizialmente ed è tuttora prevalentemente indirizzata al trattamento dei disturbi post-traumatici, ed è sostanzialmente basata sull’esecuzione di movimenti oculari, o su altre stimolazioni sensoriali bilaterali, somministrate al paziente durante la rievocazione dei traumi subiti. Nella sua formulazione più semplice la tecnica base implica che il paziente tenga inizialmente in mente una rappresentazione (immagine, suoni, sensazioni) dell’evento traumatico, mentre guarda i movimenti destra-sinistra di un dito del terapeuta.
Come racconta la stessa Shapiro (1995), la scoperta di questa tecnica nasce da una osservazione casuale: durante una passeggiata in un parco l’autrice notò qualcosa di particolare riguardo ad alcuni pensieri che la infastidivano.
A differenza di quanto le accadeva abitualmente, e cioè che tali pensieri fastidiosi tendevano a ripetersi in modo disturbante, senza che venisse compiuto alcuno sforzo i pensieri avevano perso la loro intensità e fastidiosità.
Cercando di ricostruire che cosa stava succedendo, la Shapiro notò che quando i pensieri fastidiosi si presentavano alla mente i suoi occhi si muovevano spontaneamente e rapidamente per tutto il campo visivo, seguendo ripetutamente un movimento in diagonale.
A quel punto cominciò a produrre deliberatamente i movimenti oculari, mentre si concentrava su diversi pensieri e memorie disturbanti, notando come essi tendevano a scomparire o a perdere la loro carica disturbante. Di lì seguirono diversi “esperimenti” con amici e colleghi fino a formulare un intervento psicoterapico più strutturato che implicava l’induzione intenzionale di movimenti oculari.
La procedura venne poi applicata in uno studio controllato a vittime di traumi (Shapiro 1989) che rispondevano ai criteri di diagnosi del DSM per Disturbo post traumatico da stress.
Da allora la metodologia dell’EMDR si è evoluta considerevolmente e le procedure attualmente impiegate seguono precisi protocolli che, se da un lato vedono nella stimolazione dei movimenti oculari o in altri input sensoriali la componente essenziale, dall’altro la inseriscono in una complessa serie di attività, che rivestono una non irrilevante funzione terapeutica autonoma (come afferma la stessa Shapiro in un recente lavoro 1999 pag 58, ed anche Renfrey e Spates 1994; per review vedi McNally 1999) e rendono complesso il tentativo di estendere ad altre patologie l’applicazione della tecnica e difficile comprenderne le modalità di funzionamento.
A dispetto delle importanti questioni che la tecnica dell’EMDR suscita intorno ai potenziali usi clinici e alle possibili spiegazioni del proprio funzionamento, essa si è viceversa guadagnata un posto di primo piano nelle cronache recenti più per le polemiche inerenti le prove di efficacia e per le modalità assai perentorie – e talora di marca non prettamente scientifica- con cui ci si schiera pro o contro.
Il rischio è di limitarsi a citare e sostenere successi o fallimenti, polemizzando sulla legittimità e accuratezza sperimentale degli studi, senza andare più a fondo nella comprensione degli aspetti teorici inerenti al funzionamento della tecnica e quindi estendere le conoscenze per un suo uso più sistematico e consapevole.
Come affermano Smith e Yule (1999) e, come del resto emerge da un esame anche non sistematico della letteratura disponibile, i contributi teorici riguardo alle spiegazione del funzionamento di questa metodologia restano comunque molto indietro rispetto alla diffusione della pratica clinica.
E’ a questo livello di inquadramento teorico che vorremmo inserirci con le seguenti riflessioni, tentando una descrizione delle modalità di funzionamento dell’EMDR, in una chiave di lettura fornita da alcuni recenti modelli clinici cognitivisti.
Descriveremo inizialmente la procedura dell’EMDR, passando in rassegna le fasi principali della sua esecuzione. Rifacendosi poi ai modelli delle organizzazioni cognitive -ma utilizzando comunque concetti comuni ad altri modelli- tenteremo di evidenziare come la procedura agisca specificamente su diversi livelli conoscitivi ed inoltre sull’interfaccia tra i diversi livelli conoscitivi.
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