Il problema del rapporto con l’autorità rimanda alla figura del padre e a ciò che resta del “nome del padre”. E’ davvero “quello che resta del padre” un problema centrale del nostro tempo in cui la sua potenza simbolica è evaporata e assistiamo alla dissoluzione della sua figura come depositaria del grande potere evolutivo del no.
Ma per comprendere il rapporto con l’autorità suggerirei di fare un passo avanti e partire dal tentativo di capire qualcosa di più, in chiave psicoanalitica, sul tema del desiderio e su come esso si formi e si strutturi dentro di noi.
Sappiamo che non c’è vita umana se non oltrepassando la dimensione edipica ed incestuosa del desiderio.
L’evaporazione della figura del padre ci apre ad una delle problematiche psicologiche centrali del nostro tempo: cosa resta del padre?
Per Freud il padre è essenzialmente il simbolo della Legge, ma, mi preme sottolinearlo, non è l’equivalente della norma giuridica.
Egli introduce l’esperienza dell’impossibile nell’umano.
Ci sono cose impossibile, non ammesse e non ammissibili. E’ la Legge prima e originaria che fonda la necessità delle diverse strutture giuridiche che caratterizzano l’umano.
Tu non poi sapere tutto, non puoi godere di tutto, avere tutto, essere tutto.
Questa è la potenza traumatica e benefica della Legge che, introducendo l’impossibile nell’umano, rende possibile il desiderio nella sua dimensione generativa e non mortifera. Attraverso la castrazione simbolica si istituisce il limite, la salutare riduzione dell’onnipotenza originaria.
Il padre dopo aver stabilito il limite regala la possibilità di un appagamento pieno, completo e superiore. Il padre è colui che sa tenere insieme la legge e il desiderio. Se ciò non accade abbiamo il trionfo della dimensione mortifera e non generativa del desiderio.
La rappresentazione artistica che forse rimanda con più forza a questa dimensione smodata e incestuosa del desiderio è l’ultimo capolavoro di Pasolini, il noto ed inguardabile: “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”.
Nel film un giovane muore facendo il segno del pugno chiuso. Qui la sensibilità dell’artista ci ricorda ciò che la psicoanalisi ha capito dal suo esordio. La dimensione ideale affoga e soccombe ad uno strutturarsi scomposto, incestuoso e perverso del desiderio. Senza l’ideale che protegge la vita, che dà senso alla vita, la vita si disgiunge dal senso e la depressione, il senso di vuoto trionfano drammaticamente.
La legge che si stacchi dal desiderio è prevaricazione, mortificazione del desiderio, prigione moralistica e, laddove l’istanza proibitrice prevalga e soffochi, abbiamo l’isteria e tutte le patologie connesse alla rimozione eccessiva, all’autorità che si è fatta smodato e insensato autoritarismo, insomma tutto ciò che Freud rinviene nell’inconscio delle isteriche dell’età Vittoriana.
Ma anche il desiderio che si stacchi dalla legge non va incontro ad un destino migliore facendo naufragare l’individuo nell’insensatezza del vivere e, anche se si dovesse riuscire a sottrarsi alla logica mortale degli eccessi e delle sostanze, si scivolerebbe inevitabilmente verso una profonda dimensione depressiva.
Oggi è il tempo del trionfo di questo secondo eccesso, e, scomparsa o quasi l’isteria dai nostri studi, quanti ragazzi si presentano in terapia svuotati di vita, di energia vitale, infiacchiti, dicendo: “La vita è schifosa, è priva di senso: una merda”!
Da molti anni assistiamo ad una nuova dimensione genitoriale, che sempre più frequentemente ci troviamo ad incontrare anche nel mondo della scuola.
Sempre più spesso si assiste ad una fusione simbiotica non interrotta, proprio a causa dell’evaporazione della potenza simbolica e generativa della Legge, del nome del padre. Il figlio non è riconosciuto veramente nella sua alterità, e dunque ogni conflitto che inneschi tensioni e ostacoli rispetto ai suoi comportamenti inappropriati, è un offesa che il genitore vive come rivolta a se stesso. Io genitore, non mi ritrovo nel ruolo educativo e talora restrittivo o persino punitivo di una qualunque autorità, ma, al contrario, essa è la nemica da combattere perché rischia di infliggere una mutilazione narcisistica a questo modello di famiglia che contiene in sé alcuni germi di pericolosa asocialità.
In questa ottica i figli restano un prolungamento narcisistico da preservare e difendere in ogni caso e a qualunque costo. Nessun ridimensionamento, nessun fallimento è ammissibile perché il figlio è, per definizione, un incompreso che nasconde, nelle sue profondità un genio.
Salta il patto generazionale e molto spesso i docenti sono lasciati soli nella loro missione educativa che assomma alla bassa valutazione che la politica, al di là delle dichiarazioni di facciata, riserva loro, anche l’ostilità di genitori che, avendo abdicato al ruolo complesso e faticoso di fondere legge e desiderio, spossati dalle richieste sempre più elevate della società, preferiscono rapportarsi sempre più debolmente alle richieste dei figli. Non sanno declinare in un’ottica di giuste e progressive conquiste di libertà (a fronte di chiare acquisizioni e dimostrazioni di responsabilità), le rivendicazioni dei figli ma, per stanchezza, per debolezza o, credono, per amore, sanno solo cedere, accondiscendere. La fusione simbiotica con il figlio, il recepire i suoi conflitti con le varie forme di autorità come propri conflitti in una declinazione deludentemente narcisistica dell’amore genitoriale, non è amore che feconda e fa crescere, ma terra arida e secca su cui si alzeranno fusti sempre più deboli, imbelli, malati, depressi.
Vorrei ricordare un passo di una delle 10 omelie scritte da Sant’Agostino a commento della I lettera di San Giovanni, nota per la frase: “Ama e fai quello che vuoi”.
“Non credere allora di amare il tuo servo, per il fatto che non lo percuoti; oppure che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza. Sia fervida la carità nel correggere, nell’emendare … Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo;
(Continua)
Commenti degli utenti:
Lucignolo |
.... la ricerca della verità dovrebbe accumunare tutti, ma è di obbligo tendervi per chi della vita ne vuol fare un'arte. Le tue riflessioni mi sembrano azzeccatissime ciao Luca un tuo ex paziente ritrovato |