Le diverse tipologie di malta che permettevano alle tante monadi sociali, di creare una collettività sono state, nel novecento, essenzialmente:
il senso di appartenenza che io chiamo verticale, ovvero l’appartenenza ad una nazione, il nazionalismo;
il senso di appartenenza orizzontale ad una classe, il socialismo;
il senso di appartenenza ad una ecclesia, ad una fede, a valori religiosi e morali che apparivano o che si volevano universali.
Il nostro modello economico e il nostro assetto sociale hanno, in genere, spinto sempre più l’individuo verso la sua personale e solitaria affermazione, sottolineando la dimensione competitiva della dinamica sociale. Questo può piacere o non piacere ma ha avuto ed ha degli indubbi vantaggi, libera grandi risorse intellettuali, sprigionando creatività e impegno. Ovviamente con dei costi. Ogni assetto sociale ne ha!
Nell’età Vittoriana, la società viennese aveva nella repressione più o meno marcata della sessualità il costo prevedibile ed inevitabile per il suo funzionamento e nell’isteria la cifra espressiva, a livello di sofferenza psichica, di quel modello sociale.
Il nostro crescente solipsismo, pur avendo il merito di aver sostanzialmente liberato l’istintualità in generale e quella della donna in particolare, ha l’evidente difetto di far sentire sempre più solo l’individuo, isolato di fronte alla distesa immensa del possibile che gli si dischiude dinnanzi. Ed infatti è la solitudine esistenziale il dolore segreto e inconfessabile del nostro tempo, di cui la depressione rappresenta il correlato in ambito clinico.
Detto tutto questo il problema che mi sembra presentarsi non è il modello liberale in sé, così come sommariamente ho delineato, modello peraltro che già, come abbiamo visto, non è (e non potrebbe essere) privo di difetti e verso il quale, provo una sincera simpatia, ma la sua progressiva corruzione e decadenza.
Ho ascoltato negli anni giovani e adolescenti e ho trovato che molti di loro insistevano su un concetto: quel tale è un personaggio, è un vincente, lui c’è l’ha fatta. A far cosa mi chiedevo? Beh a far soldi e a diventare famoso. Questi i suoi meriti, gli unici dati che sembrano mantenere un senso, un valore residuo.
Dunque è evidente che la strada, il percorso tramite cui si accede ad essi, finisce per essere marginale per una fetta, tristemente consistente, della popolazione. Come ci dicono le storie sconvolgenti di soggetti omicidi rei confessi di genitori, di parenti, di vicini, se ti sei ritagliato la tua fetta di notorietà, essa costituisce un lavacro che monda da ogni colpa! Sei noto, sei famoso dunque.... sei degno di ammirazione e persino di amore. Una follia, un’alterazione completa dei nessi di causa effetto.
Nel nostro sempre più strano mondo valoriale non ricerchiamo più un “sono bravo”, “sono generoso”, “sono un genio”, “sono un eroe” e dunque grazie a questo sono divenuto famoso, fungendo magari da esempio, da stimolo per una sorta di ammirazione e magari di emulazione collettiva…. no no con una specie di cortocircuito tremendo, chi sia diventato in qualche modo famoso, trascurando completamente il “come” ed il “perché”, risulta per questo invidiabile e ammirabile!
La terribile pericolosità che si affianca alle grandi e positive potenzialità della televisione era già stata colta e magistralmente espressa da Karl Popper il quel breve ma estremamente interessante scritto che prese il nome di “Cattiva maestra televisione”. Quei rischi, possono evidentemente essere estesi a tutti i mass media.
Dunque tramite il circuito o meglio il cortocircuito mediatico si percepisce che un “nulla” è diventato famoso, magari con quel po’ di tamarro che non guasta e che contribuisce, in questa logica ridicola, alla creazione del così detto “personaggio”. Ma se quel “nulla” ce l’ha fatta allora tutti i nulla in circolazione, che non vogliono saperne di sottostare alle dure leggi della competizione sociale, alla necessità dello sforzo, dello studio, dell’impegno, del lavoro intenso, ma che al contempo non vogliono saperne di continuare a sentirsi tappezzeria, che sono narcisisticamente convinti di avere il diritto ad elevarsi, anche senza alcun merito, sopra gli altri, allora tutti loro finiscono per ammirare il loro idolo, quel “nulla”, che senza nessuna dote particolare, senza talento, (quindi somigliando loro terribilmente) ce l’ha fatta.
Quel “nulla” è la loro speranza, la loro garanzia che la fede, nella possibilità velleitaria del loro prossimo riscatto, non è mal riposta.
Se passa questo messaggio, ragazzi siamo finiti. La storia e ancor più il mondo globalizzato non fanno sconti, non permettono scorciatoie gossippare per affermarsi. Dobbiamo accettare la sfida, dura ma esaltante, che il nostro tempo ci propone e abbiamo solo due possibilità o la vinciamo declinando con volontà e impegno, all’interno del mondo del lavoro, della scienza, della ricerca, le nostre caratteristiche positive, la nostra intelligenza, la nostra creatività che davvero non sono seconde a nessuno o le nuove, motivate e instancabili realtà che stanno sorgendo ad oriente (India, Cina, Corea ecc.), ci spazzeranno via senza pietà!