Freud sostiene che l’insieme dell’attività psichica ha per scopo di evitare il dolore e di procurarsi, se e quando è possibile, il piacere.
Secondo il padre della psicoanalisi il dispiacere sarebbe legato ad un aumento della eccitazione ed il piacere ad una sua riduzione (in alcuni scritti ad un azzeramento in altri ad una sua riduzione ad un livello basso e costante).
Il principio di piacere è comunque, in ogni caso, un principio “economico” (nel senso della metapsicologia).
Quando Freud illustra il principio di piacere, in genere, lo contrappone al principio di realtà, considerandoli due poli opposti e fondamentali nella regolazione dei nostri atti.
Le pulsioni inizialmente sono le uniche padrone delle psichico e ricercano soltanto la via più breve di soddisfacimento; a poco a poco, il soggetto, maturando, sperimenta l’impatto della realtà, gli ostacoli che essa frappone al raggiungimento del piacere e la forza cogente delle necessità che propone.
Tuttavia in questa ottica l’opposizione tra i due principi non è poi così profonda e radicale.
Il secondo seguirebbe, sostanzialmente, perfezionandolo nei modi, le esigenze del primo, subordinandole ad una utile consapevolezza del mondo circostante e delle sue necessità e favorendo lo svilupparsi di una serie di comportamenti con valore adattivo.
Ma in molti casi la psicoanalisi ha colto la profonda connessione del piacere con il processo primario e dunque con fenomeni quali il sogno, l’appagamento allucinatorio ecc. di cui è evidente il carattere dereale.
Il principio di piacere sarebbe dunque legato a questi modelli arcaici e primitivi di soddisfacimento mentre il principio di realtà terrebbe conto delle vie realisticamente percorribile e sarebbe più legato alle pulsioni dell’io che non a quelle sessuali. Quest’ultimo, dunque, non potrebbe mai, completamente, sostituirsi ed assorbire le istanze del primo che invece è destinato a mantenere una sua irriducibile autonomia nell’inconscio