Ho rivisto, a distanza di anni, Match Point. Veramente un gran bel film! La regia di Woody Allen ci ha guidato tramite una rilettura attualizzata del tema classico del Fato, ad una visione desolata e priva di ogni prospettiva teleologica del vivere, ad un concetto di destino che la modernità ha ridotto a cieca casualità. E questo uomo ormai solo, afflitto dal peso di una responsabilità enorme, cioè vivere senza un senso prestabilito, seguendo quella che Galimberti chiamerebbe l’etica del viandante, rischia di naufragare sotto il peso di questa assenza incolmabile.
Mancano i valori, manca un senso forte perché l’uomo della modernità, uscito dall’Eden di una innocente delega alla divinità sul confine tra bene e male, si dimostra non ancora maturo e pronto ad una assunzione piena delle sue responsabilità. Pare quasi che l’uomo abbia bisogno, provocatoriamente, di sfidare Dio per costringerlo a palesarsi perché sarebbe meglio la punizione, per quanto temibile e terribile, a questa assenza di senso, a questa atroce mancanza di un “perché”.
“Perché non parli” chiede Michelangelo al suo “Mosè” colpendolo con il martello; “Perché non parli” invoca oggi l’uomo rivolgendosi a Dio che, con il suo silenzio assordante, ci obbliga ad una adolescenza dolorosa ed entusiasmante, dove il distacco dalla casa paterna coincide con la ricerca di nuovi equilibri, di nuovi valori, di nuovi ideali che però ancora tardiamo a trovare e non riusciamo a produrre.
Siamo sulla soglia di casa e il cuore vacilla, di fronte a noi
l'oceano del possibile.